Il chilo è “ingrassato”: lo dice il professor Peter Cumson dell’Università di Newcastle che ha appena pubblicato uno studio in cui si afferma e si dimostra scientificamente che l’unità di misura del chilogrammo sarebbe più pesante di decine di microgrammi rispetto all’unità di misura “ufficiale” creata nel diciannovesimo secolo. Per questo motivo le bilance che usiamo tutti i giorni sarebbero tarate male e quindi poco credibili. Il motivo principale del mutamento dell’unità di misura? Lo smog.
Il team di ricercatori ha infatti dimostrato che sia il prototipo del chilogrammo (l’IPK – International Prototipe Kilogram) conservato all’International Bureau of Weights and Misures di Parigi sin dal milleottocentosettantacinque, sia le circa quaranta copie che sono state create nel milleottocentottantaquattro e furono distribuite in varie città del mondo per uniformare la massa, si sono appesantite anche di decine di microgrammi rispetto al peso originario, per colpa dello smog, della polvere, dei detriti e delle decine di inquinanti che nel corso degli anni si sono depositati sui modelli, modificandone così il peso.
Più nello specifico il prototipo aumenta di peso soprattutto grazie all’evaporazione del mercurio, sostanza di cui il platino (materiale principe dell’ IPK) è un grande assorbitore.
Il team del professor Cumson è riuscito ad effettuare questi rilievi e a fare queste scoperte grazie ad una macchina chiamata spettroscopia fotoelettronica a raggi x (la Xps) la quale è riuscita ad isolare idrocarburi ed agenti inquinanti che ricoprivano l’IPK, constatandone di conseguenza il peso.
” Il problema” – ha affermato il professore dopo la pubblicazione della sua ricerca – “non è tanto quanto pesi effettivamente l’ IPK perchè se tutti facessimo riferimento allo stesso standard di peso nessuno noterebbe differenze. Qui la difficoltà sorge invece dal momento che tutti i modelli di chilogrammo presenti nel mondo si differenziano dall’uno all’altro e, anche se queste differenze si attestano a meno di cento microgrammi, esse risultano comunque molto significative. Basti pensare che questi modelli sono il riferimento che ogni paese adotta per gestire e tarare gli scambi commerciali di merci anche molto preziose”.
Il team di ricerca ha pubblicato i risultati di questo studio sulla rivista Metrologia e, oltre ad aver riscontrato questo problema, propone anche una soluzione verosimile per risolverlo: si tratterebbe di un “trattamento abbronzante”. Esponendo le superfici dei prototipi di chilogrammo ad una miscela di raggi ultravioletti ed ozono, con molta probabilità si riuscirebbe ad eliminare lo strato di agenti inquinanti che li stanno ricoprendo, riportandoli alle condizioni originarie.
A questo punto sembra chiaro che le bilance domestiche e non solo (tutti gli strumenti di misurazione del peso sono tarati sul prototipo del diciannovesimo secolo) non sono tarate correttamente … per la gioia dei golosi!
La storia del chilo
Innanzitutto c’è da sapere che il chilo è l’unica unità di misura definita in base ad un manufatto e non ad una proprietà fisica.
Per questo l’International Prototipe of Kilogram è custodito in un caveau sotterraneo chiuso da tre chiavi e controllato da altrettante guardie.
Il PFK consiste in un cilindro retto a base circolare che misura trentanove millimetri sia di altezza che di diametro, composto da due materiali: la lega di platino e la lega di iridio.
Dal 1889 la vecchia definizione di questa unità di misura (la massa di un centimetro cubo di acqua alla temperatura di 3,98 gradi – era il grammo, moltiplicando il risultato per 1000 ecco il chilo), molto complessa e difficile da calcolare, venne sostituita con l’uguaglianza al peso del prototipo.
Il modello di chilo ed i suoi “cloni” hanno iniziato a creare qualche problema fin dalla loro nascita: confrontandoli con il peso calcolato con la vecchia formula (quella con l’acqua), ci si accorse che i due pesi non combaciavano.
La comunità scientifica si interrogò chiedendosi se fosse necessario modificare il manufatto con un campione più preciso ma alla fine scelsero di non modificare un’ “abitudine” di riferimento del peso già in uso da ben quattordici anni e il prototipo rimase quello che conosciamo. Di conseguenza venne definitivamente abbandonata la definizione legata alla massa d’acqua.
Anche se per definizione l’errore nella replicabilità del prototipo dovrebbe essere pari a zero, nella realtà essa (la differenza quindi tra l’IPK e i suoi “cloni” sparsi per il mondo) si attesta intorno ai due microgrammi.
Purtroppo non esistono motivi (quindi nemmeno ipotesi di modifica) per cui un modello dovrebbe essere diverso dall’altro in quanto creati con gli stessi materiali e delle stesse dimensioni. L’unica variabile conosciuta, la stabilità, viene verificata una volta ogni quarant’anni circa.
Per questi motivi il dibattito nella comunità scientifica riguardante la definizione del chilogrammo (in particolare una sua modifica che torni a fare riferimento ad una legge fisica e non ad una massa reale), è rimasto vivo ed acceso negli anni. Di certo la ricerca del professor Cumson darà nuovo impulso alla ricerca.
Le direzioni più accreditate al momento per la modifica futura della definizione del chilo sono:
- legarla al numero di Avogadro (costante universale pari al numero di particelle contenute in una mole di qualunque massa)
- l’accumulazione ionica (l’accumulazione di ioni d’oro e la quantità di corrente necessaria a neutralizzarli)
- l’utilizzo della levitazione del superconduttore che mette in relazione il chilo alle quantità elettriche tramite la levitazione di un corpo superconduttore in un campo magnetico generato da una spira superconduttrice e misurando la corrente elettrica circolante nella spira
Per ora il chilo rimane quello conosciuto; in Italia il prototipo è conservato a Roma presso il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato.
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